Dopo la narrazione salviniana, tanto facile quanto inconsistente, negli ultimi mesi abbiamo ascoltato quella renziana, un filo più complessa ma non meno inconsistente. Se un osservatore leggesse quest’ultima dentro la sua logica e soprattutto ascoltasse la retorica dei discorsi ascoltati, delle questioni che potrebbero sembrare di principio, potrebbe al limite chiedersi come può essere che qualcosa di apparentemente legittimo dal punto di vista dell’ideale politico, non conduca ad altro che a un affondamento del Governo, inqualificabile poiché promosso da dentro, e all’inevitabile rafforzamento delle istanze dell’opposizione (ovvio: la iena e lo sciacallo ringraziano).
Sembra la storia noiosamente e fastidiosamente troppe volte sentita su D’Alema: ha ragioni da vendere, ha visione e intelligenza. E tuttavia è il problema a rimanere lo stesso: a che cosa ci serve? Un “ottimista” potrebbe dire che non serve a niente. Realisticamente, però, siccome il perfetto equilibrio è un’astrazione teorica, parafrasando un vecchio adagio si può proprio dire che ciò che non ingrassa, ammazza.
Il problema, in fin dei conti, è personale, ed è personale nel duplice senso di una disfunzione egoica dell’individuo in questione e, in maniera molto più rilevante, di una mancanza di senso del collettivo, dell’unità – di intenti e soprattutto di azione.
Sul primo aspetto, sarebbe facile ma in fondo inutile dilungarsi. Basterà dire che il ragazzo seguita a non stare al gioco e di conseguenza a fare come chi si contraria perché le cose non vanno come voleva. Ora smette di giocare e, se può, si porta via anche il pallone. Gli argomenti, anche ben pronunciati, possono sembrare convincenti, ma basta fare un rapido zoom all’indietro e riguardare le cose un po’ più lontano per accorgersi dell’infima sciocchezza e dell’insipienza che li anima.
Quello che era chiaro fin da subito, a livello di intuizione, magari netta ed espressa in termini lapidari, continua però a dimostrarsi giusto: da una patologica autoreferenzialità, cieca di fronte a tutto ciò che oltrepassa il confine della propria epidermide, il giovanottino fa scaturire un colpo molto duro contro il Governo, un colpo che se non sventato potrebbe consegnare l’Italia alla destra, vistala risonanza mediatica di cui potrebbe godere. Non dimentichiamo infatti che in Italia la stampa non è in mano a editori ma a gruppi industriali, e che per questi una compagine governativa formata da M5S e “ex comunisti” è qualcosa di cui si farebbe molto volentieri a meno.
Il tema infondo non è nuovo: lo aveva intuito (probabilmente a ragion veduta) Filippo Turati, nella sua famosa “profezia” nel 1921, che quella lotta tra “fratelli” avrebbe aperto la strada alla reazione, cioè al Fascismo. In effetti, gli squadristi erano già presenti, fuori dal teatro, mentre si teneva il famoso Congresso, ed ecco allora un altro esempio di opposizione tra miopia da autoreferenzialismo e lungimiranza. Lo stesso tema troverà qualche decennio dopo una valida spiegazione con Hannah Arendt e con la sua idea che le rivoluzioni di successo sono quelle fatte per il pane – non per la libertà. In ogni caso il finale è sempre lo stesso: dopo lo scompiglio rivoluzionario, si apre il campo all’imperialismo, alla dittatura, al totalitarismo. Da Napoleone a Stalin, la Storia parla chiaro…